Con l’avanzare dell’età siamo più soggetti a fragilità ossea e aumentato rischio di fratture, in particolar modo le donne. Questo è dovuto a condizioni o patologie che alterano il normale metabolismo osseo, come ad esempio l’osteoporosi. Questa patologia è più diffusa di quello che si pensa e colpisce 5 milioni di Italiani (80% donne), che ogni anno ‘vanno incontro’ a circa 600mila fratture ossee, spesso seguite da perdita di autonomia e ospedalizzazioni.
“L’osteoporosi – sottolinea Maria Luisa Brandi, responsabile dell’Osservatorio Fratture da Fragilità – è una malattia scheletrica sistemica caratterizzata da una riduzione della massa e della qualità ossea che porta alla fragilità ossea e a un maggior rischio di fratture ad anca, colonna vertebrale, omero, avambraccio. Nei prossimi 25 anni, la percentuale della popolazione over 65 che ne soffre aumenterà del 25%”.
Grazie a un’adeguata terapia con farmaci antiriassorbitivi è possibile ridurre del 50% le fratture; tuttavia, ben l’80% dei pazienti con osteoporosi non ricevono cure adeguate e un paziente su due abbandona la terapia per timore di possibili effetti collaterali dei farmaci, tra cui l’osteonecrosi mandibolare, il cui termine clinico è osteonecrosi delle ossa mascellari indotta da farmaci (MRONJ).
Cos’è l’osteonecrosi mandibolare?
Si tratta di una degenerazione dell’osso mascellare/mandibolare che comporta una sua esposizione, spontaneamente o a seguito di cure dentarie, spesso accompagnata da dolore, gonfiore e ulcerazione dei tessuti molli, fino a poter dare mobilità dentale con grave alterazione della funzione masticatoria.
Farmaci antiriassorbitivi: funzione e controindicazioni
Per contrastare la fragilità ossea sono oggi disponibili diversi farmaci che agiscono riducendo il riassorbimento del tessuto osseo. La famiglia maggiormente diffusa è quella dei bifosfonati, a cui si aggiungono i farmaci monoclonali come il denosumab, oltre quelli che associano all’attività antiriassorbitiva la capacità di stimolare la deposizione di nuovo osso.
Come tutti i farmaci, purtroppo, non sono scevri da complicanze, che in alcuni casi possono presentarsi anche nel cavo orale.
La complicanza più frequente è infatti l’osteonecrosi mandibolare indotta da farmaci. Questa è una complicanza locale che non mette a rischio la vita di chi li assume, ma che può comportare gravi problematiche orali dal punto di vista funzionale ed estetico.
Fortunatamente, questa complicanza compare raramente: nello 0,5% dei casi quando il farmaco viene assunto per l’osteoporosi e fino all’8%, invece, in caso di assunzione per motivi oncologici.
Osteonecrosi mandibolare e parodontite
Esistono purtroppo altre condizioni che possono aumentare il rischio di sviluppare l’osteonecrosi mandibolare indotta da farmaci, tra le quali la parodontite. La malattia parodontale è infatti una malattia infiammatoria cronica che influenza la salute generale e può portare alla perdita dei denti. L’estrazione dentaria, ancor più se effettuata in una situazione di infiammazione parodontale non controllata, è infatti uno degli eventi che possono scatenare l’insorgenza di osteonecrosi dei mascellari.
Fattori di rischio sistemici e comportamentali
L’osteonecrosi può presentarsi con maggiore probabilità (incidenza maggiore dello 0,9%) se oltre ad esserci condizioni infiammatorie o traumatiche nel cavo orale il paziente è affetto da patologia diabetica, renale, da patologie auto-immunitarie come l’artrite reumatoide, se sta eseguendo chemioterapia o se è un forte fumatore.
Documento congiunto sull’utilizzo dei farmaci antiriassorbitivi nei pazienti con parodontite
SIdP (Società Italiana di Parodontologia ed Implantologia) e SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia) hanno elaborato il primo documento congiunto che dà indicazioni sull’utilizzo dei farmaci antiriassorbitivi nei pazienti con parodontite.
Il documento, specifica il Dr. Luca Landi, referente SIdP per il progetto, si è occupato di valutare quanto sia aumentato il rischio di sviluppare l’osteonecrosi nei pazienti affetti da parodontite e gengivite e in cura con farmaci antiriassorbitivi. In particolare, per chi assume farmaci per le ossa, il rischio principale di osteonecrosi mandibolare è in caso di estrazioni dentali.
Il risultato dell’analisi congiunta della letteratura scientifica ha evidenziato come, mettendo in atto le buone pratiche che interessano sia l’odontoiatra che il medico prescrittore, questo rischio è minimo e non viene pregiudicata né la terapia odontoiatrica né l’effetto protettivo del farmaco antiriassorbitivo.
“Abbiamo costituito una task force di esperti delle due discipline – racconta Sforza, Presidente SIdP – per dare vita a un consensus utile per clinici e pazienti. Nonostante la bassa incidenza di complicanze per l’osso mascellare riscontrate con l’uso di questi farmaci, infatti, è necessaria attenzione nel caso di pazienti che soffrono di parodontite, malattia delle gengive che distrugge il tessuto di supporto dei denti e, nei casi più gravi, ne causa la caduta. Gli elementi da tenere in considerazione sono il dosaggio dei farmaci, la via di somministrazione, la durata della terapia, la presenza di patologie concomitanti e le condizioni del cavo orale”.
“Sospendere o non iniziare la terapia per il timore di incorrere in questa complicanza non solo espone il paziente a un più alto rischio di frattura – afferma Luca Landi, referente SIdP per il progetto – ma spesso determina una difficoltà per l’odontoiatra che deve gestire estrazioni dentali o interventi di chirurgia in soggetti con problemi parodontali. Per questo, il Position Paper ‘Healthy Bone Healthy Gums’ sottolinea l’importanza della terapia anti-fratturativa, che non deve essere interrotta o rinviata dal dentista a meno che ciò non avvenga in accordo con il prescrittore”.
Centrale in queste buone pratiche è il controllo dell’infiammazione a livello orale. Diventa quindi fondamentale per il medico prescrittore richiedere una valutazione odontoiatrica del paziente, soprattutto prima di iniziare il trattamento con i farmaci antiriassorbitivi, e per l’odontoiatra non interrompere le cure per l’osteoporosi ma intensificare il controllo dell’infiammazione delle gengive e della salute orale.
Dal documento congiunto si evince quindi che non è necessario rinunciare ai farmaci antiriassorbitivi, a patto di monitorare dosi, modalità e periodo di somministrazione di questi farmaci e, allo stesso tempo, di tenere sotto controllo l’infiammazione gengivale per ridurre il rischio di estrazioni dentarie e di interventi chirurgici.
Qualora siano necessarie procedure chirurgiche o estrazioni, i pro e i contro vanno calibrati tra dentista e prescrittori, sulla base di:
- condizioni di salute orale e generale del soggetto;
- tipologia di farmaci assunti e modalità di assunzione;
- tempo di assunzione dei farmaci.
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